L’articolo nasce da un confronto avvenuto nel Consorzio Cascina Clarabella tra le cooperative sociali che si occupano di inserimenti lavorativi di persone con problematiche di salute mentale
FARE INSERIMENTI LAVORATIVI NEL TEMPO DELLA CRISI
UNA SFIDA EPOCALE PER LA COOPERAZIONE SOCIALE
Storicamente le cooperative sociali di inserimento lavorativo si sono sviluppate in settori ad alta intensità di manodopera: la cura del verde, le pulizie di scuole e ospedali, il montaggio e l’assemblaggio in aziende manifatturiere. Questa almeno è stata la nostra storia: non dissimile – crediamo – da quella di tante altre imprese sociali.
Da qualche anno ci troviamo a fare i conti con la crisi degli ambiti di lavoro tradizionali. Le commesse pubbliche calano, i giardini privati da curare sono sempre meno, le aziende risentono dei venti freddi della recessione, che dal 2008 colpisce economia e welfare dei nostri territori. E allora, come costruire il futuro?
C’è DA MANDARE AVANTI UNA STORIA
La crisi dei lavori tradizionali spinge a cercare nuove frontiere. In gioco è la possibilità di offrire ancora opportunità (di occupazione e reddito, oltre che di collocazione esistenziale) per le persone che – ultime tra gli ultimi – rimangono escluse dal mercato del lavoro: nel nostro caso chi soffre di gravi disturbi psichici ed è in carico ai Dipartimenti di salute mentale.
La ricerca di nuove frontiere guarda oggi in due grandi direzioni:
• La prima ha a che fare con lo sviluppo di progetti sostenibili economicamente, ambientalmente e socialmente (pensiamo alla nuova economia delle bioenergie). Si tratta qui – per i cooperatori sociali – di mettere all’opera le capacità imprenditive acquisite negli anni, insieme alle capacità di dialogo maturate con gli attori sociali e istituzionali dei territori. Economia, ambiente e sociale sono le tre sfere che, da sempre, la cooperazione sociale di tipo B prova a mettere in una circolarità virtuosa. Perseguendo un modello di economia in grado di generare valore multiplo.
• La seconda frontiera è consolidare relazioni con imprese del territorio per creare opportunità di partnership. Le imprese private sono un mondo di opportunità al quale la cooperazione finora non si è tanto approcciata, perché l’inserimento lavorativo è stato gestito soprattutto nel rapporto con l’ente pubblico (Comuni, Asl, Province). Oggi è tempo di costruire alleanze con imprenditori sensibili. Non sono pochi, spesso sono più di quanto si creda. Sono persone e aziende che continuano a pensare lo sviluppo economico non disgiunto da una responsabilità sociale.
Queste frontiere (che approfondiremo più avanti) sono i due grandi cantieri di lavoro nei quali ci stiamo immergendo. Con determinazione, anche se non senza timori. Perché chiedono a noi cooperatori sociali di entrare in territori meno noti, rivisitando i nostri modi di fare, di essere, di relazionarci, di produrre. Abbiamo voluto esplicitarle fin da subito per dire che la ricerca di futuro è in atto. E per non dare a questo scritto un tono depressivo. Perché certo un mondo è finito, o perlomeno è andato in crisi. Il mondo in cui le cooperative sociali sono nate e cresciute.
(…)
NON SMARRIRE IL SIGNIFICATO DEL LAVORO PER LE PERSONE SVANTAGGIATE
Le cooperative sociali sono nate per creare opportunità di lavoro per persone svantaggiate. Il significato del lavoro va oggi rilanciato. Tanto più in tempi in cui dilagano precarietà e disoccupazione.
FARE IMPRESA SOCIALE E’ SCAMBIARE NEL REALE
Fin dagli inizi la scommessa è stata sul lavoro come diritto, come libertà dall’indigenza e dalla dipendenza, come auto-realizzazione.
Per chi vive una condizione di fragilità, il lavoro è una leva potente: permette di avere relazioni, aiuta a ritrovare un ruolo sociale, attiva e capacita persone (mobilita le loro risorse interiori) che altrimenti resterebbero passive, chiuse in casa. Il lavoro è il rovescio della malattia: se la condizione di matto ti fa sentire incapace, irresponsabile e pericoloso, la condizione di socio lavoratore ti fa sentire responsabile, capace, cooperativo.
Come sostiene Franco Rotelli, la riforma della psichiatria avviata con la legge 180 – di cui le cooperative sociali sono state un tassello importante – ha portato le persone a «scambiare nel reale», non solo ad avere relazioni asimmetriche negli istituti psichiatrici.
Fare impresa sociale è scambiare nel reale. Grazie al lavoro la persona produce cose che scambia con altri. Scambia il vino, scambia il taglio dell’erba, scambia l’olio. Scambia prestazioni che hanno un valore economico, oltre che simbolico. La persona scambia, quindi qualcosa vale, sente di valere. Ha un ruolo perché produce. Certo con i limiti e le difficoltà, con gli alti e i bassi. Però identitariamente è una persona che produce e scambia. E che l’altro riconosce in quanto tale.
LA CITTADINANZA E’ TERAPEUTICA
Il discorso smette di essere: «Poverino, ti faccio lavorare perché sei matto». Non è più l’ergoterapia, quella pratica che costringe i malati a dedicarsi a piccoli e inutili lavoretti manuali, con l’unico scopo di tenerli occupati. Ma è il lavoro come possibilità di sentirsi soggetti attivi, di produrre cose utili per qualcun altro, di realizzare prodotti (vino, olio, manufatti…) o servizi (la gestione di un agriturismo, la manutenzione del verde pubblico…) di qualità che altri comprano.
Ma allora attraverso i prodotti che realizziamo dobbiamo raccontare. Raccontare la scommessa che nelle cooperative sociali si gioca ogni giorno. Che è quella di dare valore a ciò che altri scartano: siano luoghi, materiali e soprattutto persone. Quella di reimmettere nel gioco sociale chi ne sarebbe escluso.
Non possiamo fare il vino e fermarci lì. Il nostro vino deve raccontare, deve fare cultura sulla malattia mentale, deve cambiare lo sguardo sulla fragilità. Raccontare è un mezzo per creare altro lavoro, per tenere viva la scommessa, per mandare avanti una storia.
(…)